Fotografia Sabrina Scoma

“Abbiamo provato ad assumere delle donne, ma non sono arrivate candidature.” Questo è quello che spesso sentiamo dire da HR o realtà del settore tecnologico che devono affrontare processi di selezione e assumere personale. Il divario di genere è evidente, i report e le statistiche che escono ogni anno lo ribadiscono. Se il quadro è questo, assumere forza lavoro maschile è spesso la strada più semplice: ma possiamo permettercelo?

Alessia: Ne parliamo in questa intervista con Sabrina Scoma, Social Media Manager e co-organizer di Django Girls Italia. Sabrina, possiamo permettercelo?

Sabrina: Secondo me no, non possiamo permettercelo. Ma prima di rispondere alla tua domanda, vorrei fare una premessa: secondo me, per come è diventata la nostra società, in cui le diversità stanno trovando i loro spazi e devono essere rappresentate, un’azienda deve riflettere su quanto sia inclusiva nei processi di selezione dei propri collaboratori. Questo sia nella comunicazione verso l’esterno e al proprio interno, sia riguardo la realizzazione dei prodotti. Quest’ultimo tema è caldissimo nel settore tecnologico, perché oggi la sfida è impegnarsi a far sì che le soluzioni tecnologiche che realizziamo siano rappresentative di tutti, e per essere inclusive ci servono team diversificati, nei quali devono ovviamente entrare anche le donne. 

Quindi, se un’azienda si rende conto che non sta riuscendo a essere inclusiva verso le donne, ci sono alcune azioni che può intraprendere. Innanzitutto, può impegnarsi a diversificare i canali di recruitment: se ci affidiamo sempre ai canali tradizionali, le figure che arriveranno saranno sempre le solite.

A: Quali sono i canali alternativi che tu consigli?

S: Sicuramente ci sono community e network al femminile nati in ambito digitale e tecnologico e negli ultimi anni sono state realizzate anche conferenze ad hoc, tipo WomenX Impact, ma ce ne sono tante altre. 

Per un’azienda, muoversi in questi network è un ottimo modo per entrare in contatto con professionalità al femminile da includere.

A: Quindi, punto di partenza: andare nelle community specifiche, abbandonare i soliti canali e cercare le donne lì dove sono veramente. E poi?

Poi sicuramente un altro step può essere quello di valutare il proprio stile comunicativo, cioè come la nostra azienda comunica verso l’esterno: è veramente inclusiva verso tutte le persone? Per le job description, che linguaggio e che parole utilizza? Considera davvero a chi si sta rivolgendo e le esigenze diverse di ognuno? Per esempio, sappiamo che le donne, prima di mandare il cv, se non si sentono sicure di corrispondere a tutti i requisiti, probabilmente quella candidatura non la inviano; quindi per un’azienda può essere interessante sì scrivere un’offerta di lavoro con tutti requisiti tecnici, ma dare anche spazio ad altri aspetti, come le soft skill che sono necessarie per avere successo in quel ruolo, oppure l’ambiente di lavoro, o la formazione. E non dimentichiamo quanto siano importanti anche gli aspetti di flessibilità in termini di orario e di modalità di lavoro, perché sappiamo che per una donna l’impatto della genitorialità e della cura delle persone care è alto, e quindi dare importanza a questi aspetti sicuramente fa la differenza.

A: Quindi l’attenzione a come si scrive l’annuncio di lavoro. Lo so bene anche io perchè sui social ci lavoro e sono sempre in difficoltà. Cerco un programmatore? Una programmatrice? Programmatori e programmatrici? A volte risolvo con l’inglese che non ha il genere: developer, e sto tranquilla. Però è un fatto che la lingua italiana non aiuta a volte. C’è qualche trucco che ci vuoi consigliare? 

S: È vero, fare questo tipo di lavoro sulla comunicazione richiede uno sforzo in più. Anche io mi occupo di comunicazione e quando scrivo i testi faccio una review sia ortografica, ma anche una review “un po’ inclusiva”, valutando se ci sono parole particolari, frasi e concetti che si possono esprimere in altro modo. È vero, l’inglese a volte ci aiuta ad aggirare il problema. Gli asterischi, la Schwa invece non sono molto accessibili come strumento e rischiano di appesantire il testo.
C’è sicuramente da fare uno sforzo in più per scrivere le frasi in modo diverso;  da “l’offerta di lavoro è rivolta a tutti” perché non posso scrivere “l’offerta di lavoro è rivolta a chiunque”?

Alla fine le accortezze ci sono e richiedono di riflettere sulle parole che usiamo, sul loro impatto, perché a volte usiamo delle parole senza essere consapevoli dello stereotipo o del pregiudizio che nascondono.

È anche normale che sia così, per carità, però è bene interrogarsi su questi aspetti, capire che c’è differenza tra l’intenzione con cui diciamo o scriviamo una parola e l’impatto che può generare nell’altra persona a livello emotivo. 

A: Ormai sono cintura nera nel girare le frasi, da “Sei interessato” a “Ti interessa” e così via…

S: Esatto. Sono cose semplici, ma se messe in pratica tutti i giorni, a lungo andare fanno la differenza. Mi sono imbattuta in una statistica interessante, ovvero che la Generazione Z, che è quella che sta entrando nel mondo del lavoro adesso e che dovrebbe includere le persone nate tra il 1997 e il 2010

A: Non lo volevo sapere…

S: Eheh, nemmeno io! Dicevo che coloro che appartengono alla Generazione Z si contraddistinguono per essere lavoratori e lavoratrici che danno molta attenzione a una cultura del lavoro positiva, ma soprattutto inclusiva. Le persone che stanno entrando nel mondo del lavoro adesso hanno a cuore questi aspetti.

Quindi un’azienda che vuole assumere donne e vuole trattenere poi questi talenti, secondo me non può esimersi da questi temi.

A: Io ti volevo chiedere quanto influisce il linguaggio inclusivo nella comunicazione aziendale e se è giusto prestarvi attenzione, ma mi sembra che tu abbia già risposto…

S: Secondo me sì, sia da un punto di vista della comunicazione che generiamo verso l’esterno, cioè sul sito, sulle offerte di lavoro, sui canali social, sia nella comunicazione all’interno dell’ambiente di lavoro. Ci sono molti studi che sostengono che l’utilizzo di un linguaggio inclusivo sul posto di lavoro è esso stesso propulsore di diversità e inclusione all’interno dello stesso e, di conseguenza, crea quel clima di “sicurezza psicologica”, che poi genera anche senso di appartenenza verso l’azienda. Quindi tutto questo è importantissimo, soprattutto per le aziende tecnologiche che lavorano tanto in team.

A: Che questi meccanismi creino un circolo virtuoso ci ci credo, ma ti faccio una domanda: basta solo il linguaggio? Usare il linguaggio inclusivo non dovrebbe anche tradursi in fatti concreti? Come fa un’azienda ad essere veramente inclusiva?

S: Alle parole devono corrispondere i fatti, in tutti gli aspetti. Un’azienda veramente inclusiva, secondo me, è un’azienda che cerca di creare un ambiente di lavoro sano, in cui le persone si sentano accolte, che cerca di capire le loro esigenze e di essere il più flessibile possibile, anche negli orari e nelle modalità di lavoro. 

Giustamente, ogni realtà è diversa e ogni azienda prenderà misure anche in base alla propria situazione, non c’è una formula uguale per tutti. Ma l’azienda veramente inclusiva è l’azienda che va incontro al proprio personale. L’esempio più calzante è quello delle donne, per cui l’impatto della genitorialità è molto forte. Tutte le persone dovrebbero avere la stessa possibilità di avanzare nella carriera; perché una donna, a causa della genitorialità, non dovrebbe farlo? Quindi un’azienda che si impegna da questo punto di vista è sicuramente inclusiva. 

Spesso si dice che non ci sono donne nel tech e che dobbiamo assumerle, poi finalmente lo facciamo, ma attenzione! Una volta dentro, non devono essere abbandonate, bisogna impegnarsi affinchè queste persone crescano e magari raggiungano anche posizioni alte a livelli di leadership. Purtroppo, invece, spesso si verifica che la loro figura si fossilizza fino a che abbandonano il ruolo oppure optano per altre aziende. 

A: Hai ragione, ma comunicare questi temi non è nemmeno facile. Che cosa e come lo scrivi? Oppure magari si può pensare a un programma di supporto alla maternità?

Dacci consigli o idee!

S: Su questo ci sono figure esperte che sicuramente sono più competenti di me per dare soluzioni. 

Però sul come comunicarlo… Ecco, se io sono un’azienda tech che ha già delle donne, magari sono poche e vorrei averne ancora di più, una cosa che posso fare è sicuramente sfruttare i miei canali, facendo raccontare il loro percorso. Perché no? Se io donna domani ho un colloquio di lavoro con l’azienda X, sicuramente andrò a vedere cosa scrive l’azienda X sul sito o sul blog o che cosa condivide sui canali social. Quindi dare voce alle donne all’interno dell’azienda è sicuramente un ottimo modo per divulgare l’impegno aziendale in loro favore.

A: Senti, due parole: codice etico e formazione. Parliamone.

S: Anche il codice etico è uno strumento che possiamo usare per comunicare che siamo un’azienda inclusiva e che ci impegniamo su questi temi. È utile perché racchiude i valori su cui si fonda l’azienda e le buone pratiche di comportamento sia tra le persone che collaborano all’interno, che nei rapporti verso l’esterno. Ma è importante perché porta l’azienda a riflettere su cosa è veramente imprescindibile e diventa un documento guida, da condividere in modo trasparente.

A: Quindi il codice etico andrebbe condiviso anche al di fuori dell’azienda, magari sul sito?

S: Sì, assolutamente. Ultimamente, ne ho visti molti pubblicati da grandi aziende, tipo Barilla o Generali. Vengono anche proprio utilizzati come leva di comunicazione. In effetti è uno strumento molto forte.

Anche per chi sta cercando lavoro e si pone il problema di valutare se un’azienda è veramente inclusiva, perché ci tiene a questi valori, vedere che un’azienda ha un codice etico è un buon segnale. Ovviamente, non basta scrivere un documento, come dicevamo anche prima: se inizio questo percorso, poi devo anche far corrispondere un certo impegno. Quindi è bene fare attenzione perché spesso i temi della diversità e dell’inclusione si cavalcano anche solo per fare molto marketing.

A: Anche perché non è facile portare avanti questi temi. Io lo ammetto, tante volte sbaglio, non con cattiveria, ma perché non ci sono abituata.

S: Certo, lo dicevo anche prima che è faticoso. Magari faticoso è un concetto negativo, però, insomma, è un impegno, che secondo me va portato avanti. Anche perché la questione del linguaggio inclusivo, secondo me è una semplice questione di educazione, di rispetto e di gentilezza verso le altre persone. Può succedere di sbagliare.

Qualche giorno fa mi sono imbattuta in un TEDtalk di Alexa Pantanella, che è una consulente di diversity e di linguaggio inclusivo molto competente, che diceva che semplicemente capita di sbagliare e di offendere l’altra persona senza volerlo, ma l’importante è ammetterlo e soprattutto confrontarsi con l’altra persona, perché questo alla fine ci renderà più consapevoli e migliorerà il nostro utilizzo del linguaggio. Ecco, confrontarsi con l’altro è sempre la miglior cosa secondo me.

A: E ora parliamo di formazione

S: La formazione è sicuramente un aspetto importantissimo per le aziende che vogliono assumere più donne nel tech. C’è un divario di genere, e quindi succede che i colleghi uomini magari arrivano super preparati, super specializzati in linguaggi e competenze, a differenza magari delle donne che sì, ci sono in questo ambiente, ma magari arrivano in azienda ad un livello più junior.

Quindi la formazione è importante, le aziende devono investire in questo ed è un investimento che a lungo termine darà per forza risultati perché uno dei temi più caldi per le aziende tecnologiche oggi è quello di avere team diversificati.

È importante anche selezionare figure professionali che siano propense a formare altre persone all’interno dell’azienda, in modo che si instauri un circolo di trasmissione di conoscenze, in cui alla fine crescono sia le donne sia il team intero. 

Anche i programmi di mentorship sono molto importanti per far sì che la persona che entra in azienda abbia una figura di riferimento, che la possa aiutare nell’onboarding, nella formazione, o anche nel momento in cui abbia bisogno di aiuto per capire come crescere in azienda.

A: A me personalmente questo discorso fa sempre un po’ tristezza, pensare e dire che le donne siano meno preparate degli uomini non mi piace. Poi sì, tu e le altre Django Girls avete già spiegato che le cause vanno cercate a monte, nella scuola e nel retaggio culturale…

S. È vero, bisogna lavorare tanto sulla cultura. Purtroppo è un problema che si trasmette già dalla scuola. Qualsiasi donna potrà essersi sentita dire no, ma forse la matematica non è il tuo forte o che le donne non sono inclini verso le materie scientifiche. Ma non è assolutamente vero! Ho partecipato con Fuzzy Brains a un evento in cui Paola Velardi, che è una docente di informatica dell’università di Roma Tre, parlava dei corsi di intelligenza artificiale: ci ha spiegato come aver lavorato tantissimo sulla comunicazione, aver rivisto il messaggio e come veniva veicolato, e averlo reso più inclusivo, sia stato fondamentale per avere poi più iscritte al corso. Io credo che loro abbiano lavorato molto sulla cultura dello stereotipo e dei pregiudizi legati allo STEM, che aleggia ormai da sempre nelle scuole e nelle università.

A: Sì, anche di questo abbiamo parlato già diffusamente negli interventi precedenti.

Quindi, tirando un po’ le somme di quello che ci siamo dette: dobbiamo utilizzare canali diversi rispetto a quelli tradizionali, come le community femminili e il mondo che vi ruota intorno, fare attenzione alla comunicazione interna ed esterna all’azienda, sul sito e sui social. Potrebbe poi essere buona pratica dotarci di un codice etico, magari anche pubblico, in modo che chi cerca lavoro sappia già in che ambiente andrà a stare, e dobbiamo puntare tanto sulla formazione.

S: Esattamente si’.

Grazie ancora a Sabrina per l’interessante chiacchierata e per gli spunti..
Se volete ascoltare la puntata intera del podcast, potete farlo qui.

Chi è Sabrina Scoma

“Sono Sabrina e mi occupo di comunicazione digital per un’azienda informatica. Scrivo, creo contenuti per il web e per i social! Lavorare nel settore informatico mi ha permesso di scoprire il mondo delle community tecnologiche e di non lasciarlo più. Sono community manager di Django Girls Italia, WTM Ambassador e faccio parte dell’associazione Fuzzy Brains che si impegna a rendere il mondo tech più inclusivo. Quando non lavoro, divoro libri, vado ai concerti, viaggio e scopro il mondo camminando.”